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Il calcio, amore diventato lavoro

Come medico dello sport l’albese Cristiano Eirale ha partecipato a due mondiali e alla Champions league e ora è a capo dei servizi sanitari del Paris Saint-Germain

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«Una volta A­lessandro Ne­sta mi dis­se: “Tut­­ti quelli che non sono capaci si giustificano dicendo di essersi rotti il ginocchio o che gli pia­cevano le don­ne”, ma io il ginocchio me lo sono rotto per davvero…». Partiamo da qui, dalle sue parole e da una carriera calcistica finita a 17 anni, per raccontare del­l’albese Cristia­no Eirale e di un incidente di percorso che è diventato l’inizio del­la sua fortuna. La passione per il calcio, infatti, ha fatto sì che l’ex centrocampista dai piedi buoni decidesse di iscriversi alla Facoltà di medicina di Pavia e, poi, di specializzarsi in medicina dello sport. La sua carriera lavorativa inizia nello “staff” medico dell’In­ter. Nel 2007 entra a far parte del “team” del centro medico sportivo e ortopedico “Aspetar”, in Qa­tar, rivestendo nel corso degli an­ni il ruolo di responsabile dello “staff” sanitario di nazionali quali Al­geria, Costa d’Avorio e Qatar.
A metà della scorsa stagione passa al Paris Saint-Germain, con il ruolo di coordinatore dei servizi sanitari della società sportiva che comprende non solo la squadra di calcio ma­schile, con campioni del ca­libro di Buffon, Mbappé, Ney­mar e Cavani, ma anche quella di calcio femminile e di altre discipline come la pallamano (in cui eccelle) e il judo.
Come sia diventato di casa al Parco dei principi di Parigi lo spiega il diretto interessato.
«I proprietari del Paris Saint-Germain sono del Qatar come “Aspetar”, la clinica per la quale lavoro e che è uno degli “sponsor” del Psg. Essendo il medico che in “Aspetar” più si occupava di calcio, tramite la mia clinica dal 2011 ho iniziato ad aver rapporti di consulenza con il Psg. Quando la società parigina ha deciso di ristrutturare lo “staff” medico, mi ha chiesto di coordinarlo e io ho accettato».
In cosa consiste il suo lavoro?
«C’è una parte più manageriale e una più clinica. Qui, avendo a di­sposizione mezzi e persone, possiamo seguire nuovi approcci per cercare cure all’avanguardia. Sic­come si è visto che si è arrivati al limite su tantissimi infortuni, però, stiamo volgendo la nostra attenzione anche alla prevenzione, approcciando l’a­tle­ta nella sua totalità, dall’alimentazione al sonno, alla psicologia dello sport. Ci sono fattori di rischio che, se individuati in tempo, possono fare la differenza. Spesso le figure sanitarie che operano in un club sono al limite della medicina, per­ché non si tratta di un ospedale e i pazienti sono “sui generis”, essendo atleti, però credo che anche per la medicina dello sport sia fondamentale la parte accademica».
Qual è il giocatore più straordinario che ha visto da vicino?
«Mbappé. A vent’anni ha una maturità che ho mai visto prima in altri».
E dal punto di vista fisico?
«Adriano all’Inter era eccezionale. Dal punto di vista della longevità e degli infortuni direi Javier Zanetti: inspiegabile come il suo cor­po resistesse al logorio del tempo. Anche Ca­va­ni è uno che si prende cura di se stesso in maniera maniacale e si vede in campo».
L’atleta che vorrebbe seguire?
«Se posso spaziare in altri sport, direi Lebron James, probabilmente il giocatore di sport di squadra che ha fatto la più grande differenza negli ultimi 15 anni. Inoltre, essendo cresciuto negli anni ’80, mi sarebbe piaciuto lavorare con Diego Armando Maradona».
Come si relazionano a lei i tanti campioni che militano nella so­cietà parigina?
«Nonostante gli ingenti investimenti economici fatti, il Psg è un ambiente molto informale. Sono tutti ragazzi alla mano, con cui è facile avere un buon rapporto. Probabilmente è anche per via dell’internazionalità a cui sono a­bituati. La maggior parte arriva da esperienze non parigine: non solo gli atleti, ma anche lo “staff”. Il direttore sportivo è portoghese, il presidente del Qatar…».
Quale è l’infortunio più brutto di cui si è occupato?
«In Malesia, in una partita di qualificazione per il mondiale, un ragazzo dopo un trauma cranico è andato in arresto respiratorio. L’ab­­biamo rianimato e si è ri­preso».
Che obiettivi vede per il futuro del Paris Saint-Germain?
«L’ambizione coltivata dal Psg è di dotarsi del centro di allenamento più al­l’avanguardia nel mondo del calcio».
Quali emozioni le ha regalato questo lavoro sinora?
«Ricordo la prima volta che sono entrato a “San Siro”, la prima volta che mi sono seduto in panchina per la Champions league e ai mondiali. Mi ritengo fortunato non perché vedo Mbappé e Ney­mar, ma perché faccio qualcosa che mi ap­passiona. Se un giorno non sarà al Psg, ma in una realtà minore, la pas­sione rimarrà la stessa. E co­munque, anche a distanza di anni e di chilometri, ogni tanto un giro sul web per controllare i risultati delle squadre piemontesi in cui ho giocato lo faccio ancora…».

BaNNER
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