Il 19 gennaio “Tanti Saluti” al Teatro Civico di Busca

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Domani, sabato 19 gennaio alle 21, al Teatro Civico di Busca, la Residenza Teatri Civici “Il teatro fa il suo giro” presenta, per la stagione “In riva ai monti”, “Tanti Saluti”, con Gianluigi Meggiorin, Giuliana Musso e Marcela Serli, con la regia di Giuliana Musso e Massimo Somaglino, in uno spettacolo graffiante, divertente e irriverente.

“Tanti Saluti” porta in scena il tema del morire ai nostri tempi. Sei brevi monologhi mettono al centro l’esperienza diretta e la sua autentica forza poetica. Attraverso una ricerca di stampo sociologico sono state raccolte le voci dei principali testimoni dell’evento: medici, infermieri, familiari. Abbiamo visitato i teatri del morire: ospizi, ospedali, hospice, case. Indagato le sue nuove declinazioni: cure palliative, accanimento terapeutico, protocolli di rianimazione, eutanasia. E abbiamo anche ascoltato chi è stato così vicino al punto della morte da non averne più alcun timore.

“Tanti Saluti” porta in scena anche tre clown e a loro consegna il non dicibile: il racconto delle nostre paure, degli smarrimenti e delle soluzioni paradossali che mettiamo in atto di fronte alla morte. Unici oggetti di scena: tre nasi rossi e una buffa cassa da morto.

Alcuni cenni sull’indagine teatrale

Nascere, morire. La morte, così come la nascita, è stata, nel corso del nostro recente processo di civilizzazione, progressivamente allontanata dalle pratiche della vita comune. Abbiamo depositato nelle mani guantate di lattice dei professionisti gli attimi supremi della nostra esistenza, quegli attimi che forse ci possono far intravedere il mistero che siamo, il senso che cerchiamo. Non possiamo però ignorare che il sistema medico legale ha maglie molto strette, non riesce a contemplare la variabile umana, davanti alla morte spesso non ha gesti o parole, non ha protocolli di com-prensione, com-passione. Inquadrati nel ruolo dei familiari, all’interno dell’istituto nosocomiale, a noi vivi è consentito solo di continuare a nutrire la speranza nella guarigione per non dover mai considerare, vivendolo, il senso del congedo.

“È evidente che non c’è idea – per quanto strana essa possa essere- che gli uomini non siano disposti ad accettare con gioia, se soltanto riesce a distoglierli anche in minima misura dalla coscienza della loro finitezza, se soltanto alimenta la speranza in una qualche forma d’immortalità”. Norbert Elias, La solitudine del morente

Se è vero che di fronte alla morte abbracciamo la vita a quali smarrimenti ci porterà il narcisistico delirio di immortalità di questa nostra epoca? “Life is now”. Ed eccoci in un tempo libero dall’idea della morte e di conseguenza anche dal senso del limite. Abbiamo lasciato una valle di lacrime assediata dal pensiero nero dell’inferno per trasferirci nella valle della cosmesi collettiva dove “io valgo” se sono giovane, forte e vincente. Nella terra dell’ottimismo noi non invecchiamo, non ci ammaliamo e non moriamo mai. Ecco perché siamo disposti a tutto pur di non intersecare la prova evidente della nostra vulnerabilità e finitezza.

“Che sentimento ha costui di ciò che fa, se può cantare mentre scava una tomba?” William Shakespeare, Amleto, atto V, scena I

Chi ci può condurre attraverso le sabbie mobili di queste contraddizioni e paradossi se non un clown? Chi può rappresentare le nostre paure senza terrorizzarci e proporci un sano “memento mori” senza trasformarci tutti in monaci trappisti? Ridere di questi argomenti è necessario, utile, illuminante. Non è forse ridicola fino alle lacrime la nostra stupida pretesa d’immortalità? Si può ridere della nostra paura della morte per non finire nella trappola del horror vacui, per stemperare il nichilista “tanto si deve morire” che toglie senso alla vita stessa, per infondere alla nostra esperienza di vita e di morte una leggerezza densa e liberatrice.

Infine: ridere perché l’opera artistica possa, di fronte al mistero della morte, balbettare senza vergogna.