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“La brava gente” di Aliberti Gerbotto

Il giornalista e scrittore saluzzese, intervistato da “IDEA”, ha dato alle stampe il nuovo giallo

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È stato un anno impegnativo per Gian Ma­ria Aliberti Ger­bot­to, specie in tv, ma il gior­nalista 46enne è riuscito lo stesso a pubblicare un nuo­­vo ro­manzo: «La strenna più attesa del Natale saluzzese», co­me l’ha definito il sindaco Mauro Cal­de­roni durante la presentazione condotta dal banchiere Beppe Ghisolfi de “La brava gente” (prefazione di Alessandro Meluzzi).
«Sono parole che mi lusingano e mi riempono il cuore», commenta a “IDEA” lo scrittore.
Il suo primo cittadino l’ha elogiata, definendola «Uno dei più attenti osservatori della saluzzesità». Anche in que­sto giallo troviamo la città e i suoi abitanti?
«Certo! Sono tantissime le persone, note e meno note, che mi son­­o divertito a inserire nella tra­ma, tutti con i veri nomi, cognomi e ruoli sociali. Ad esempio è Elena Lovera, l’imprenditrice di “Costrade”, nonché nota esponente di Con­findustria e Ance, che trova il ca­davere del povero migrante di colore, assassinato nella zona del Foro boario, intorno cui ruota la vicenda».
Anche le ambientazioni restano quelle del suo territorio?
«La trama si snoda soprattutto tra Saluzzo, Cuneo, Pinerolo, Mon­dovì e Alba. E cerca anche di promuovere luoghi magnifici, ma meno battuti, come Ca­stel­del­fino o il Museo della magia di Cherasco del Mago Sales».
Per questa caratteristica peculiare dei suoi romanzi prima arrivò il plauso del Presidente della Provincia di Cuneo e, l’anno scor­­so, quello del Presidente del­la Regione Piemonte…
«Sergio Chiamparino li ha definiti “Un’ottima vetrina del­le eccellenze artistiche, paesaggistiche, monumentali ed e­nogastro­no­mi­che del territorio”. Per un cam­panilista cronico co­me me, è un apprezzamento eccezionale».
Quest’anno però ha allargato il raggio d’azione alla Liguria…
«Ho ambientato alcune scene, so­prattutto mangerecce, a Sanre­mo, Ventimiglia e Imperia, an­che perché sono le zone più frequentate dai noi della Granda».
Il “leit-motiv” del precedente romanzo, “L’ottavo giorno di Katarina”, con prefazione di
Ro­berta Bruzzone, era il femminicidio. Stavolta il “focus” si sposta sui migranti…
«Come spiega bene il caro amico Meluzzi nella prefazione, dal giallo emerge il terribile pregiudizio di cui la bra­va gente è schiava. E così anche la grande difficoltà di integrazione per questa povera gente».
Sempre impegnato nel sociale, ex crocerossino, delegato della Fondazione piemontese per la ri­­cerca sul cancro e dell’Airc, i proventi dei suoi libri sono stati spesso devoluti in beneficenza. L’anno scorso ha regalato i suoi romanzi all’Unione italiana ciechi: un dono che vale anche per quest’ultima opera?
«Sì, anche “La brava gente” sarà presto trasformato in audiolibro e reso fruibile “gratis” a tutti i non vedenti d’Italia».
Come nascono i suoi libri?
«Scrivere mi rilassa. è la mia valvola di sfogo. Le poche sere che sono a casa visto che la televisione non propone nulla di meglio che il “Grande fratello”, tengo il computer sulle gambe e di tanto in tanto butto giù qualche idea per i capitoli del libro successivo. Tutti appunti che possono co­stituire la base dei capitoli del mio romanzo “in fieri”».
è un metodo particolare…
«Beh, Luciano De Crescenzo mi confessò che durante l’anno buttava in una scatola pizzini sparsi di appunti che si limitava a legare insieme quando arrivava il mo­mento di sfornare un libro».
E la trama?
«Il filo conduttore che lega l’intero romanzo lo sviluppo in macchina, aereo o treno durante i viaggi per gli impegni televisivi».
Già, le scorribande sul piccolo schermo che anche nel 2018 l’han­no vista protagonista…
«In estate non ho più voluto partecipare a “Unomattina”. Ho scelto mia figlia che nel 2017 si lamentava tanto delle mie continue fughe a Roma. Ha 11 anni e mi rendo conto che, se vog­lio go­dermela al meglio, i tempi stringono. Poi vorrà uscire solo con le amiche, altroché il papà!».
Ma ha continuato la collaborazione con Gigi Marzullo.
«Sì, per “Cinematografo” ho se­guito e seguo tutti i più importanti festival del cinema, da Cannes a Venezia… Mentre per l’altro suo programma, “Testimoni e protagonisti”, a giugno ho registrato interventi per puntate monotematiche dedicate ai grandi di cultura, musica e spettacolo e che, in parte, devono ancora andare in onda».
Cosa bolle in pentola nel suo fu­turo professionale?
«Io spero meno viaggi e più se­dentarietà. Vorrei stare più tem­po nel magnifico castello di En­vie in cui ho la fortuna di abitare, o a Cuneo dove vive la mia ragazza. Mi piacerebbe tornare a insegnare, magari in qualche scuola della zona. Un mese fa ho ripreso questa bella esperienza tenendo lezioni di comunicazione ai corsi per apprendisti alle scuole
cun­eesi “San Carlo” e presto inizierò una supplenza all’Afp. Stare a contatto con gli studenti e lavorare così vicino a casa è bellissimo. Altroché tv!».
Lei in passato è stato per tre anni accademici docente nei “ma­ster” in giornalismo e
co­mu­ni­cazione dell’Università del Pie­monte orientale…
«Sono stati anni fantastici e i miei studenti mi hanno dato soddisfazioni immense. Con molti di loro mi sento ancora. Un mese fa mi ha chiamato uno dei ragazzi a cui diedi un meritatissimo 30 per dirmi che l’hanno preso a lavorare a Radio Mon­tecarlo per seguire lo sport. Ho brindato per lui!».
Quindi ribadisce di non inseguire un futuro televisivo?
«Proprio così. Tutti mi dicono che, finché mi chiamano, sarei stupido a non andare, ma non si rendono conto della vita frenetica e stressante che ciò comporta, soprattutto per chi parte dalla Granda. Questa è la mia realtà da quasi due anni, ma le mie ambizioni sono differenti».
E allora cosa sogna?
«Di fare il romanziere. E basta. Se poi nel frattempo la tv aiuta a vendere più libri, ben venga. E se ci vado ancora, tra mille sacrifici personali, di tempo ed economici, forse è solo per questo».
Non aspetta, come tutti, il famoso treno, la grande possibilità?
«Può sembrare incredibile, ma per me il tanto ambìto treno, in tv, è già passato mille volte: non ho mai voluto prenderlo, scatenando il disappunto di chi in me l’offriva. Quella scelta avrebbe comportato il trasferimento a Ro­ma e io sono troppo campanilista per muovermi dalla mia adorata terra per più di due giorni. Già mal sopporto le continue e scomodissime toccate e fuga… figuriamoci un trasferimento! Senza dimenticare che la vita ro­mana è molto dispendiosa».
Qual è la più grande soddisfazione come romanziere?
«Quando mi chiedono se John e­sista. Vuol dire che sono così bra­vo a mischiare fantasia e personaggi e luoghi veri che, quando la gente legge, non distingue la finzione dalla realtà».
Cavaliere della Repub­bli­ca, di ca­sa Savoia e della fa­mi­­glia rea­le Borbone di Spa­gna… come dobbiamo chiamarla?
«Gian Maria. Il titolo a cui tengo di più comunque resta quello, goliardico, di Cavaliere del tartufo e dei vini di Alba, perché è l’u­nico che sento aver conquistato sul campo… quello della buo­na tavola!».

BaNNER
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