Un’unione lavorativa che è diventata anche di vi­ta il 10 dicembre 2017. E per loro, Federica e Kim, anche un destino scelto e so­gnato sin da bambini. Lei a 4 anni immaginava di preparare le meringhe nel suo ristorante, giocando nel cortile di casa con l’amico Si­mo­ne; lui invece, in Corea del Sud, sapeva che avrebbe fatto della cu­cina la ragione di vita perché mam­ma e papà erano proprietari di un ristorante e, poi, perché l’e­sperienza da Antonino Canna­vac­ciuo­lo non poteva che essere il trampolino di lancio verso nuove orizzonti e nuove sfide dopo la frequentazione dell’Icif di Costigliole d’Asti… E poi i casi della vita li hanno fatti incontrare nelle cucine
del ristorante “Massimo Camia” e poi proseguire da Davide Palluda all’“Enoteca” di Canale
e da Ugo Alciati. Così hanno capito che l’u­nione caratteriale li avrebbe portati a “fondersi” anche nella vita e a dar vita a un locale proprio, Uri Ri­storante a Roddino (località Po­rine 4;
cell. 334-9704528; e-mail [email protected]; sito web www.uri-ristorante.com).
Affascina certamente il vostro nome, ma colpisce molto anche il “claim” che l’accompagna: “Sapori condivisi”…
«Uri è il termine che racconta la nostra storia, il nostro pensiero di cucina e la voglia di condividere un sogno. Abbiamo scelto questo no­me coreano per il suo bellissimo significato: “noi”, “nostro”, ma usato comunemente anche come “mio”, possessivo. Indica soprattutto un senso di comunità, unità e famiglia. Attraverso questo termine esprimiamo l’essenza del nostro cammino di vita che è, in pratica, il desiderio di condividere con tutti i clienti la nostra passione per i sapori, nella speranza che questo progetto sia apprezzato».

Siete giovani, determinati, ma avete una precisa idea di cucina che si traduce anche in una sicura identità…
«Diciamo che siamo esigenti, pri­ma di tutto, con noi stessi. Ca­rat­terialmente io e Kim ci compensiamo: lui è tranquillo e molto preciso, una dote che in cucina infonde sicurezza. Ma è soprattutto un ottimo cuoco, umile, pronto a mettersi in gioco per sperimentare e imparare a ricercare e riconoscere i migliori prodotti, innanzitutto di questo nostro vocato territorio, ma anche ben aldilà, per mettere a punto piatti che esaltino appieno le autenticità. La nostra cucina ci permette di lavorare anche divertendoci, col massimo rispetto del cliente, per creare piatti buoni e sani, con ingredienti semplici, come le verdure che coltiviamo nel nostro orto e che sono visibili addirittura nel nostro parcheggio, e non per stupire a tutti i costi.
Siamo consapevoli che la cosiddetta crea­tività è valore aggiunto quando c’è sostanza e non pura forma: non abbiamo paura di ricordare e di attingere dalla tradizione, anzi la citiamo con orgoglio. Non amiamo creme, salse, spume, piuttosto preferiamo la semplicità, senza mo­dificare troppo l’ingrediente base del piatto. Lavoriamo dunque materie prime buone e non le trasformiamo del tutto, ne esaltiamo le qualità con estrema naturalezza. Proponiamo due “menu”: uno della tradizione e uno leggermente più innovativo nel pensiero. In ciò che fa riferimento alla piemontesità, per esempio, proponiamo il vitello tonnato, la carne cruda battuta al momento, i tajarin, i plin di carne, il carré di agnello… Tutta la pasta è rigorosamente fatta da noi, come il pane e i grissini. E poi c’è un “menu” più innovativo niente di coreano come in molti credono, vista l’origine di Kim, all’interno del quale piace e incontra successo per la riuscita ed equilibrata combinazione dei sapori, dicono commensali, il “sandwich” croccante di faraona: due cialde croccanti e leggere con al centro il petto di faraona scottata in padella, insalatina e salsa bernese. L’a­spetto curioso è che viene servito in cartoccio e consumato proprio co­me un panino, con le mani».

Come vi siate innamorati di questa “location” a Roddino?
«Ci siamo capitati per caso dopo la nostra esperienza in Spagna. Ce­r­cavamo un ristorante da gestire ed è capito questo luogo che subito ci è parso la “location” giusta. Abbia­mo lavorato molto per personalizzarla secondo il nostro gusto e dopo tre mesi di ristrutturazione il 26 marzo è nato Uri Ristorante, la realizzazione di un sogno. Visto che siamo entrambi chef curiamo la cucina insieme», ribadisce Fe­derica, «ma io, durante il servizio, mi occupo, con l’aiuto anche di mia sorella Valentina, di accogliere e “coccolare” i clienti, presentando e consigliando nella scelta delle portate. Tengo a ribadire che Uri Ristorante è la realizzazione di un sogno personale, condiviso però con tutta la mia famiglia, mamma e papà compresi.
L’armonia tra di noi, l’amore per questa professione (nonostante la giovane età di Federica, appena 24 anni, ndr), rappresentano un valore che si percepisce sostando nel ristorante
che ha volutamente scelto di privilegiare la qualità e un numero di coperti che in media non supera i 25 commensali. Massima cura ed attenzione sono dedicate anche alla carta dei vini che annovera selezioni produttori locali».

Ambiente raffinato e informale, luminoso ed essenziale come vuo­le la contemporaneità, ma ricercato e originale nell’apparecchiatura: le posate sono poste al centro del tavolo in un apposito contenitore, com’è usanza in Corea.
Proponete anche un dolce, dicono i buongustai, particolare…
«è l’“ottoke”, frittella co­reana farcita non di cannella, semi di girasole, miele e arachidi come nella ricetta originale, bensì di nocciola piemontese e uvetta: una spe­cialità che mixa con successo la nostra tradizione e quella di Kim».

Pete Seeger, sosteneva che “qualsiasi sciocco può fare qualcosa di complesso; ci vuole un genio per fare qualcosa di semplice». Ecco, la loro cucina è proprio così: semplicemente geniale!