Un talento sulla scena musicale albese: Elisabetta Bernocco ed una carriera in ascesa

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Elisabetta Bernocco, a soli 24 anni, è fra le più incoraggianti promesse della sce­na musicale albese. Cresciuta in una famiglia in cui la musica è di casa, da sempre coltiva la passione per il cantautorato e per le so­norità folk, cercando di non precludersi contaminazioni e influenze di altri generi.

Oggi, oltre a portare avanti la carriera solista, can­ta e suona in due band: con le “Eskimo”, formazione interamente al femminile, ha un re­pertorio di brani indie-folk di ma­trice britannica, arricchito da qualche brano scritto di proprio pugno; con i “B-Lato”, la sua ricerca musicale va in direzioni più sperimentali e autoriali, pur in un contesto gradevolmente pop. In occasione dell’uscita dell’album “Omnia metamorphosis”, abbiamo incontrato Elisabetta per ripercorrere con lei il suo percorso artistico e scoprire verso quali direzioni si stia indirizzando.

 

Partiamo da “Omnia metamorphosis”, il primo disco in studio che hai realizzato con i “B-La­to”, uscito il 23 dicembre. Qual è il filo conduttore dell’album? Quali temi e suggestioni possiamo trovarvi? «Il titolo prende spunto da un’idea, che è un po’ un’ambizione, di non fare mai le stesse cose, di pescare dal cappello oltre al solito coniglio bianco, anche frutti esotici, contesti fiabeschi, beat beatlesiani, tutto “in chiave pop istrionica”, come direbbe Enrico, il nostro tastierista/percussionista e au­tore di buona parte delle musiche del disco. L’idea di trasformazione che porta il disco è dovuta anche alle diversità di scrittura sia in termini cronologici (“Turbini” è di 4 anni fa mentre tutte le altre sono più re­centi) che in termini personali (“Le banane” è scritta interamente da Enrico Temistocle, mentre “Ti dimentico, Alice” e “Turbini” sono senz’altro pezzi di me. Le altre sono state scritte a quattro mani e per me è stata una piacevole novità). Insom­ma, abbiamo deciso di fare un po’ quello che ci pare partendo da ciò che ci piace, e credo che in questo senso il disco sia piuttosto ricco e in grado di soddisfare il gusto bizzarro che ognuno di noi ha».

 

Oltre a militare nei “B-Lato”, suoni e canti nelle “Eskimo” e spesso ti esibisci da solista, nelle vesti di cantautrice. Come descriveresti il tuo approccio alla musica, e cosa lega progetti così diversi fra loro? «Mi piace pensare di poter usare la musica e il canto, miei e di altri artisti, per comunicare e dire delle cose, soprattutto di me. Penso esistano certe sfumature di umanità più trasparenti e dirette che tutti abbiamo, che molti comunicano e che io personalmente, in generale, tengo molto per me. Sul palco e in com­pagnia delle persone giuste, questo mio modo cambia, mi di­sinteresso del giudizio del prossimo e faccio quello che so fare, meglio che posso. Ho an­che la presunzione di raccontargli storie e parlargli di qualcosa. Sono una profonda amante del folk statunitense, carnale direi, e credo che questo tenga insieme un po’ tutta la musica che faccio e che propongo». L’anno scorso ti sei aggiudicata, insieme alle “Eskimo”, il primo premio all’ormai tradizionale “Bat­taglia delle band” organizzata dal centro giovani “H-Zone” di Alba.

 

Da anni questa manifestazione è l’osservatorio privilegiato per le band emergenti della zona. Come descriveresti la scena musicale locale? «Un po’ in difficoltà, non tanto per le proposte dei gruppi, perché ce ne sono e di valide, ma più che altro per le scarse possibilità di trasmissione, di condivisione, e quindi anche di critica e crescita personale per chi prova a portare le sue idee e i suoi sogni. La rara possibilità di confronto che si ha in questa zona e, credo, un po’ ovunque, limita l’accrescimento di esperienza e la possibilità di rendere professionale ciò che è inizialmente amatoriale o soltanto pas­sionale. Poi, se qualcuno vuole darci dentro, può provarci, ma le strade sono difficili e la retribuzione, sia in denaro che in soddisfazione personale, è spesso contenuta. In generale credo che la vittoria delle mie ragazze sia da attribuire alla “spensieratezza” con cui è stato gestito il palco e alla bizzarria dell’insieme strumentale, ben miscelato».

 

Com’è nata la tua passione per la musica? Quando hai iniziato a comporre e a cantare? Ci sono autori che hanno influenzato in modo particolare il tuo stile? «Ascolto musica da sempre, da troppo forse. Mio padre ci ha fatto ascoltare davvero di tutto. Siamo devoti al divino dei “Blues brothers” e a tutto quello che ne deriva. La nostra casa ha sempre “suonato” della mu­sica. Canto da prima di saper leggere, ma la prima volta che ho cantato in pubblico è stato a 12 anni con la famosa “Every break you take” dei “Police”, a scuola. Non credo di aver più smesso. Più o meno in quegli anni ho scoperto di poter mettere per scritto i miei pensieri, i miei sogni più profondi, che erano così difficili da dire a vo­ce, ma non da cantare. Con un certa discontinuità, è da quell’età che scrivo i miei pezzi e le mie storie. Come per mio pa­dre, il mio autore preferito in assoluto è James Taylor, cantautore folk statunitense; in generale, l’àmbito acustico e folk mi appassiona e influenza più di ogni altro». Progetti per il futuro? «Continuare a trovare il tempo per questo sogno che è troppo rumoroso per essere pronunciato ad alta voce, raccogliere un po’ di esperienze e soddisfazioni, portare le mie bimbette delle “Eskimo” a sentire un po’ dell’aria che si respira suonando per la gente e in mezzo alla gente. Tante cose, ma la strada, per me, è questa».

 

Enrico Maria di Palma

In foto Elisabett Bernocco