Immigrazione: territorio montano protagonista dell’integrazione, ma “serve una politica”

0
426

La montagna è capace di accogliere più delle aree urbane, creando progetti dal basso tra i Comuni, con le associazioni locali, la rete del volontariato, la Caritas, le parrocchie.

Le zone montane diverse dalle città nella capacità di creare opportunità di crescita, sviluppo, manutenzione e tutela del territorio, protezione ambientale, ma anche garanzia per la salvaguardia dei servizi pubblici locali, a partire dalle scuole. Lontani dall’invasione, con tassi diversi di presenza (più bassi), con integrazione migliore e più efficace.

 

Temi al centro della conferenza stampa che si è tenuta stamani alla Camera dei Deputati, convocata dall’Intergruppo parlamentare per lo Sviluppo della Montagna, alla quale hanno preso parte i deputati Enrico Borghi, Roger De Menech, Francesca Bonomo. Presenti Ugo Baldini per la Fondazione Montagne Italia, a illustrare i dati di cinquanta province italiane e le mappe dell’accoglienza, con Marco Bussone, vicepresidente Uncem Piemonte, con una serie di casi positivi di integrazione nelle aree alpine e appenniniche del Paese.

 

“Si parla spesso, forse troppo, di immigrazione sull’onda dell’emozione e non delle analisi, che invece oggi facciamo con dati ed esempi virtuosi di accoglienza – ha detto l’on. Enrico Borghi – L’assorbimento di stranieri, nei territori montani è inferiore del 2% rispetto ai territori metropolitani. I dati ci dicono che non siamo in presenza di nessuna invasione, ma anche che gli immigrati si stanno rimpiazzando la manodopera autoctona che non svolge più determinati mestieri e integrando sia nelle filiere di produzione agroalimentari, sia per quanto riguarda le manutenzioni ambientali e la cura del territorio. Le Terre Alte con i Comuni si stanno organizzando in modo autonomo. Lo scriveremo come Intergruppo al Presidente Renzi e al Ministro Alfano, affinché si attuino subito politiche nazionali di supporto ai Comuni, usando i fondi già a disposizione. Con una battuta, è meglio impiegare gli immigrati per manutenzioni territoriali e azioni ambientali anziché tenerli fermi nei centri di accoglienza”.

 

I dati della Fondazione Montagne Italia indicano un divario tra nord e sud in queste politiche, che impongono una risposta modulata in base alle esigenze del territorio, alle problematiche e potenzialità. Obiettivo fondamentale, impedire l’abbandono, garantire la presenza di persone e imprese. Ma anche evitare che nelle aree urbane si creino banlieu perché l’integrazione non funziona. “Dobbiamo utilizzare fondi e incentivi dell’Unione europee – ha proseguito Borghi – per inserire meglio e di più gli immigrati nelle filiere produttive, convertendo quello che oggi appare un problema in risorsa in quei territori dove la denatalità è accentuata e il ricambio demografico non c’è più, aprendo la strada alla cosiddetta desertificazione che può essere in tal modo evitata attivando nuove e moderne politiche di welfare attivo”.

 

Secondo Ugo Baldini e i dati elaborati dalla Fondazone Montagne Italia, “l’ospitalità ha bisogno di processi organizzativi nuovi, anche semplici. La montagna ospita 6 stranieri su 100 residenti, contro gli 8 delle aree urbane. Un differenziale potenziale di circa 260mila persone, sul quale dobbiamo interrogarci per dare un nuovo ruolo alle persone che potrebbero arrivare e essere inserite nelle filiere produttive”. Presentati i dati divisi per Regione e per 50 Province italiane, contenuti in un dossier scaricabile qui: http://we.tl/dcdQRBYHWL.

 

“I territori montani oggetti di abbandono oggi sono protagonisti dell’accoglienza – ha detto Marco Bussone, vicepresidente Uncem Piemonte – I comuni chiedono un maggiore supporto alle Regioni e allo Stato. Dove i progetti di accoglienza hanno funzionato è perché erano condivisi da una comunità di valle e non dai singoli Comuni. Proprio come successo nel Parco del Marguerais o nelle Valli di Lanzo”.

 

“I Comuni devono essere aiutati anche su questo tema a fare rete – ha affermato l’on. Roger De Menech – Non è un caso che i progetti migliori d’accoglienza nel territorio nazionale vengano dai piccoli Comuni di montagna, perché i numeri ridotti rendono la situazione più facilmente affrontabile rispetto alle realtà metropolitane dove i grandi numeri complicano le partite. I dati ci aiutano a capire il fenomeno. È evidente che il processo di diluizione della presenza in montagna può essere sopperito in parte dalla presenza di immigrati che lavorano e richiedono servizi. Servono programmazione e strategie. I Comuni non devono agire da soli, ma le politiche sono da attuare a livello sovracomunale. I progetti virtuosi di integrazione oggi affidati alla buona volontà delle comunità, devono essere resi stabili, coordinati e supportati da precise scelte sulle quali le Regioni devono fare la loro parte, all’interno di una cornice unica nazionale”.