Comuni Montani contro il nuovo piano di Poste Italiane: “Disuguaglianza fra aree urbane e rurali”

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I Comuni montani si schierano contro il nuovo piano di Poste Italiane, presentato nelle scorse ore in vista della quotazione in Borsa. Punto più grave del progetto della società monopolista è l’individuazione delle tre nuove aree di distribuzione della corrispondenza, scelte dividendo i cittadini italiani in serie A, B e C, contro ogni principio elementare di uguaglianza.

Uncem si oppone al modello di recapito secondo il quale in 5.300 Comuni italiani, definiti “Aree extraurbane regolate”, vi sia una distribuzione solo a giorni alterni, di fatto solo cinque giorni su 15, meno di 10 al mese. “Una proposta grave – afferma l’on. Enrico Borghi, presidente Uncem e presidente dell’Intergruppo parlamentare per lo sviluppo della Montagna – che configura nel Paese, secondo Poste, delle zone svantaggiate che non meritano il servizio, solo perché lì la densità di popolazione è più bassa. Una decisione che ci spinge a muoverci come Uncem in ogni sede istituzionale e politica necessaria per far valere l’uguaglianza di tutti i cittadini sancita dalla Costituzione, i quali sono tenuti ad avere garanzia di servizi senza differenze legate al luogo in cui vivono”.

 

Le conseguenze della distribuzione a giorni alterni, di quello che è già stato definito il “dieci su trenta”, saranno gravissime in particolare per le imprese dei territori rurali e montani; sarà impossibile ricevere il quotidiano al quale si è abbonati e anche sulle raccomandate o su altri tipi di notifica urgente si rischiano inceppamenti e forti ritardi, con rischi che cadranno sui destinatari, i cittadini. Sorprende anche il parere positivo al piano di Poste dato dai sindacati, che dopo aver chiesto supporto al sistema degli Enti locali, accettano il taglio di migliaia di posi di lavoro e lo smantellamento di servizi. “La riorganizzazione della distribuzione lede quanto previsto dal Servizio postale universale – conferma Borghi – I Comuni stanno avviando nuove battaglie legali, facendo ricorsi al Tar contro la chiusura di uffici. In tre Regioni, Friuli Venezia Giulia, Toscana ed Emilia-Romagna, i ricorsi sono già stati vinti. Altri territori proseguiranno su questa strada per evitare la chiusura di uffici postali unici di Comune proprio in quelle realtà comunali più piccole e più marginali, dove Poste non tiene conto del valore sociale del servizio, perlopiù in molte aree turistiche estive e invernali. I Comuni da oggi proseguono la mobilitazione anche per contrastare il nuovo modello di recapito”.

 

Uncem ribadisce due necessità, che verranno esaminate dai Consigli delle diverse Delegazioni regionali, ma anche dall’Intergruppo parlamentare per lo Sviluppo della Montagna dove è già stato aperto uno specifico dossier per ricevere le segnalazioni di disfunzioni nei Comuni. “Le risoluzioni del Parlamento, attraverso ordini del giorno e prese d’atto delle delibere AgCom, sono chiarissime – prosegue Enrico Borghi – Poste non può smobilitare la sua presenza in aree che unilateralmente ritiene economicamente non sostenibili. Non è accettabile questa posizione del concessionario nazionale. Abbiamo la necessità di aprire il mercato superando il monopolio. Come già avviene in aree montane e rurali di Svizzera, Austria, Francia, nei Comuni delle nostre vallate alpine e appenniniche possiamo individuare soluzioni molto valide per la distribuzione della corrispondenza grazie all’impegno di imprese private, ma anche di associazioni di cittadini. Ricordo che l’Unpli, l’unione delle Pro Loco, aveva dato a inizio 2015 la disponibilità a ragionare in questa direzione. Una buona opportunità, da strutturare e sperimentare”. Uncem chiede l’intervento del Ministero dello Sviluppo economico: Poste mira infatti, con la privatizzazione e la quotazione a Piazza Affari, a mantenere il 60% di capitale pubblico, giusto per continuare a restare un’azienda pubblica.

 

“Qualcosa ci sfugge – evidenzia il presidente Uncem – Se Poste va in borsa, accetti di non essere il monopolista e così il confronto con altre aziende del settore, anche estere, pronte a lavorare in Italia. Si scardini un monopolio nel quale Poste ha smesso di occuparsi di posta per diventare banca, esercizio commerciale diffuso, società di telefonia mobile e tanto altro. Servono regole più chiare, trasparenti, capaci di tutelare i consumatori e di rispettare le più semplici direttive europee sulla concorrenza”.